Memento Mori

 
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Questo post non ha un argomento allegro. Se siete influenzabili o ipersensibili non credo sia il caso che leggiate, ma ho bisogno di togliermi quest’altro sassolino dalla scarpa.

Tutto viene da un incubo che ho fatto circa un mese fa. Il che è già strano per se stesso, dato che i sogni non me li ricordo quasi mai.
Per farla breve era un sogno molto triste: morivo e avevo tutto il tempo di pensare a tutte le persone che non avevo salutato e a tutte le cose che avrei voluto fare e non avevo fatto.
Mi sono svegliata depressissima.
Ho evitato di pensarci per giorni, con l’unico risultato di essermi forzata a tirar fuori quello che pensavo una domenica pomeriggio, ho dato fondo ai pensieri più deprimenti che potessi avere.

Poi ho realizzato che in fondo non è stato così male avere quell’incubo.
Ho pensato al barocco e alle due espressioni latine più usate in quello stile: memento mori e horror vacui.
Horror vacui, tanto per fare un po’ di storia dell’arte spicciola, significa letteralmente aver paura del vuoto, da qui la necessità per i barocchi di decorare e riempire fino all’inverosimile qualsiasi superficie a loro disposizione (che poi spesso si lavorasse così solo la facciata e non il resto della costruzione è un discorso che ora come ora non ci interessa).
L’altra espressione significa “ricordati che devi morire”. Allegro eh? Ma da qui deriva l’abbondanza di teschi, scheletri, danze macabre e compagnia che si sprecano, sempre in quel periodo, per ricordare alla gente di seguire i comandamenti in vita, in modo da esser messi meglio nell’aldilà

Ok, tutto molto edificante, ora arriviamo al come tutto questo può essere utile in un caso come il mio.
Può essere utile perché è stato come un campanellino d’allarme per me, ne ho fatto il mio personale memento mori, il classico la vita è breve, vivila ora (come l’altra scritta latina tipica tempus fugit).
Sì, vero, e sono anche stata fortunata ad avere solo un incubo e non qualcosa di peggio.
Sempre il solito: “finché non ci sbatti il muso contro non afferri fino in fondo”.

La morte è l’unica certezza che abbiamo in vita, per ironico che sia, e per vivere bene tendiamo a dimenticare o ignorare questo fatto, salvo restare completamente spiazzati quando ci troviamo di fronte -in un modo o nell’altro- la cupa signora… ho deciso che eliminerò la paura del “vuoto” riempiendo la mia vita con tutte quelle cose che ho sempre voluto fare, stando in contatto con tutte quelle persone che mi dispiacerebbe non salutare.

Cavoli, ho persino appeso un teschio gigante in camera mia!
Anzi, per smettere di deprimervi un po’ vi racconterò della simbologia dell’asso di picche e della carta numero 13 dei tarocchi. La Morte. Ok, siamo sempre qui.
MA!
Lo sapevate che l’asso di picche è considerata la carta più alta, di maggior valore insomma, di tutto il mazzo?
E poi diciamocelo, nei vari mazzi di solito è pure la più bella.
Nei tarocchi la carta della Morte, per quanto possa essere uno spauracchio, a dire il vero è una carta molto positiva, simbolizza sempre un cambiamento radicale, un nuovo inizio, una guarigione (ironico eh?).
E se vogliamo andare avanti nei paralleli l’asso di picche corrisponde all’asso/uno di spade, il potere dell’intelletto puro, l’intuizione, l’innovazione, la creatività, l’intelligenza.
Messaggi potenti e ricchi (lo sapevate che il nome del dio degli inferi, Plutone, significa “il munifico”?), dietro mentite spoglie, forse perché ci va coraggio a vivere a fidarsi del proprio sapere e a buttarsi nel cambiamento?
In fondo “chi si ferma è perduto” 😉

E infine voglio lasciarvi con un paio di video, per il primo ringraziamo Corinne di Frock and Roll, il secondo non ha davvero a che fare con questo post, ma era un’inevitabile citazione da fare 😉
 

Voglio vivere ora.

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