Sindrome Post Erasmus

Due anni fa, a quest’ora, stavo forse iniziando a disfare la valigia. Arrivata a “casa” da quattro giorni.
Casa fra virgolette perché per cinque mesi “casa” era stato un cubicolo in un dormitorio studentesco, con cucina e bagno in comune a una ventina di altri studenti.
Un loculo in un corridoio stile shining che appena visto avrei voluto tornare indietro di volata.
E che una volta lasciatomi dietro era Casa. Con la maiuscola.

Chi è andato in Erasmus lo sa, ci è passato… a tutti gli altri penso io a spiegarlo.
E a quelli che devono ancora partire: forse pensate che a voi non capiterà, o forse ci sperate, beh, questo è quanto.

Nel giro di qualche mese, fra domande, bando, esiti e quant’altro ti trovi a stipare in valigia tutto quello che pensi potrà servirti per una VITA all’estero.

Ed è vero: impari a chiedere aiuto, impari a ricominciare da zero (nel bene e nel male lì nessuno, nessuno, sa chi sei), a stringere amicizia e a condividere. Davvero. I legami che si formano non hanno niente a che fare con quelli che avete avuto finora, e con quelli che avrete poi. Ma non è questo il punto, sono cose che chi parte sperimenterà e chi non ne ha l’occasione può sperimentare con dei coinquilini o trasferendosi lontano da casa…

E’ quando si torna. E’ svegliarsi la mattina in uno stato e andare a dormire in un altro, in una stanza che è tua e non è più tua.
Ti porti dietro un mondo intero, ti senti ribaltato come un calzino e ti senti maledettamente bene e pensi che anche a “casa” sia tutto ribaltato come un calzino.
E poi realizzi che in tua assenza tutto è rimasto uguale, sei solo stato via, come aver dormito e sognato un sogno bellissimo.
E non hai ancora appoggiato le valigie che tuo padre ti ricorda i lavori da fare, e vai a trovare gli amici la sera e non vedi l’ora eppure eccoli *ancora* lì. Non che ti dispiaccia, ma l’effetto è indescrivibile
E la notte quasi cadi perché il letto è appoggiato a un altro muro.
E per mesi non nomini dove sei stato, dici solo “Quando ero in Erasmus” (perché a dire “Quando ero a Montpellier” – Swansea, Madrid o dove diamine eravate – fa quasi male, fa quasi piangere), e ancora adesso, ad anni di distanza, potresti chiudere gli occhi e ripercorrere le strade a memoria, sapere su che lato batte il sole e a che ora, ricordare il rumore della cucina e l’odore dei corridoi.
E le facce, i nomi, le voci…

Spiacente ma non c’è cura, ci sono dei palliativi però: tornare in visita il più spesso possibile (possibilmente portandoci chi vi sta a cuore, perché è l’unico pallido modo di far capire tutto quello che avete dentro), sentirsi spesso con gli amici che vi siete fatti e, per chi s’innamora (oh, avete uno spirito così libero e così vostro che è molto difficile non innamorarsi in erasmus) avvicinarsi il più possibile.
(PS Io sono stata molto fortunata, Mr Faun e io ci siamo innamorati mentre ero via, e lui vive qui).

Altro rimedio: rendersi di nuovo indipendenti, io sono fin troppo pronta ad andarmene di nuovo! 😀

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8 pensieri su “Sindrome Post Erasmus

  1. Ale

    Forse ne so qualcosa: è un’esperienza che ti apre il cuore^^
    Un abbraccio post-erasmus :*
    …anche se sono passati già 4 anni dalle mie valigie per tornare a casa!

  2. Cece

    ti scrivo dal mio erasmus a Basilea..Amo questa città e mi hai fatto commuovere con le tue parole perché, per quanto sia appena cominciato, al momento non voglio lasciarla mai!

  3. Gian

    Io non ce l’ho fatta… a distanza di 4 anni dal mio Erasmus a Parigi sono ripartito per mete sconosciute. La nostalgia dell’estero era troppo forte… adesso questo Erasmus v2 durerà un po’ di più! e spero che mi regalerà le stesse emozioni….

    Grazie per il post!

    1. Euforilla Autore dell'articolo

      Non credo sia un “non farcela” sono solo scelte diverse 😉
      Dev’essere stato magnifico un erasmus a Parigi *_*
      Io ancora adesso se sento parlare di Montpellier mi commuovo!!!
      In bocca al lupo per il secondo erasmus e grazie a te per aver lasciato un commento ^_^

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