Di originalità e sticazzi

È già stato fatto tutto.
Qualche anno fa… ok, no, parecchi anni fa, al primo anno di università, dopo il primo esame di Storia della Filosofia Antica, 10 crediti, con monografico su Aristotele, mi capita in mano uno dei libri di De Crescenzo sulla filosofia.
Capitolo “Aristotele”, non ricordo la citazione esatta ma diceva qualcosa tipo “Aristotele guarderebbe al nostro presente e ci direbbe che in fondo non c’è nulla di nuovo nel mondo, abbiamo solo inventato delle prolunghe”.
Potrebbe aver senso.
Qualcuno, ovviamente non ricordo mai chi, ha detto che con l’Odissea sono stati scritti tutti i libri del mondo. C’è dentro tutto e tutto è riconducibile lì.

odissea

Qualche giorno fa sono andata a Milano, a scoprire i negozi dei perlinari (cioè negozi che vendono minuteria, perline, catenelle, ciondoli, fili eccetera), è stato come scoprire la nave madre di Etsy. Sapete quei pezzi fatti così carini, arrangiati così bene, nella foto così ben illuminata ed esposta?
Lì li trovate.
In sacchetti da sei pezzi l’uno. In cesti da centinaia di sacchetti. E ci sono decine e decine di cesti.

Poi esco, torno verso l’auto, e in un negozio di scarpe hanno messo in vetrina gli “anticipi di stagione”. Scarpe “da ufficio”, per lei e per lui, mocassini rimodernati, oxford aerodinamiche… con la suola piatta, uniforme e spessa cinque centimetri come le creepers degli anni ottanta, che ora ovviamente sono tornate di moda. (Anche qui, sentite come parliamo *tornate* di moda).
Quindi ne deduco che presto passeranno di moda di nuovo: figuriamoci se un ragazzino mette delle scarpe simili a quelle che la madre mette per andare al lavoro!!!

E quindi niente, aveva ragione Aristotele, è tutto una prolunga, di originale cosa ci è rimasto?
Ha più senso stare a fare i fighi alla “Conoscevo questa band prima che diventasse commerciale”? “Leggevo questo autore quando ancora ero in fasce”?
Perché?

ariel

Qualsiasi cosa. Qualsiasi. Cosa.
Qualsiasi cosa facciamo, la facciamo per emulazione. Certo, c’è chi abbina e rielabora con particolare gusto e inventiva. Ma tutto quello che siamo, facciamo, diciamo, beviamo, vediamo, ecceteriamo, non è creazione nostra. Siamo tutti schedabili in “target market”.

Come? Tu no? Tu sei alternativo e non infilabile in etichette? Bella collana hai al collo, ce n’erano diciotto file nel negozietto d’angolo. Bella borsa. Come? Artigianato birmano? Alla mia vicina l’ha presa il padre su una bancarella in Puglia.
E poi la vedi, là? La vetrina superchic dai verdi sgargianti e il profumo d’incenso? Leggi bene fra le righe, c’è scritto “Negozio specifico per alternativo e non infilabile in etichette”.

E quindi cosa dovremmo fare, belare in coro?
No, ma prenderne atto fa sempre bene.
Perché, come sempre, tutta questa gran filosofia spicciola dei giorni nostri, è riassumibile con un unico metodo.
Con un’unica parola.
Sticazzi.

Sticazzi se la storia che stai scrivendo è stata scritta miliardi di volte, sicuro non è stata scritta come la scriveresti tu.
Però soprattutto sticazzi se hai iniziato ad ascoltare i Cure prima del tuo vicino di casa, gioisci del fatto che potrete scambiarvi cd e opinioni (si scambiano ancora i cd?). Anche perché tutto sommato se si gioca a questo gioco vince Robert Smith: lui ha iniziato ad ascoltare i Cure prima di tutti.
Sticazzi se ti piace la Formula 1 perché da piccola la guardavi con tuo padre e t’è rimasto l’imprinting, a tuo padre piace anche andare a funghi, ma a te no, quindi del discernimento c’è stato.
Però soprattutto sticazzi se ti senti tanto speciale fiocchettino di neve perché “fai cose che non fa nessuno”, è un’esistenza piuttosto sola. Ed è una pia illusione, anzi, una superba illusione, siamo più di sette miliardi sul Pianeta, è semplice statistica…

Ok?
Ok.
Possiamo andare tutti a casa, la lezione è finita.

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