Tarte Tatin, la storia di una ricetta

No, non la storia di com’è nata questa torta, la storia della ricetta che ho usato io!

E che differenza c’è? Oh, sono molto contenta che l’abbiate chiesto, sedetevi pure, sarà una storia lunga.
Dunque, tutto cominciò una mattina di giugno del secolo scorso.
Correva l’anno millenovecentonovantanove ed era l’ultimo giorno di scuola.
L’ultimo giorno del mio primo anno di liceo, ho fatto il linguistico e quell’anno, fra il ’98 e il ’99, avevo imparato un po’ di francese.
A suon di tre.
Giuro.
Quando ho preso cinque per la prima volta in casa abbiamo fatto festa.
Comunque, in qualche modo non solo sono riuscita ad avere un sei in pagella in francese, ma siamo anche riusciti ad affezionarci alla prof di francese, alla lettrice di francese e ad organizzare una festicciola di fine anno.

Avremmo fatto le crepes, in classe.
Che c’entrano le crepes con la tarte Tatin? Momento che ci arrivo, come siete impazienti!
Dunque, la lettrice di francese avrebbe portato l’impasto per le crepes, io avrei portato la padella elettrica per le crepes, le mie compagne avrebbero portato marmellate, nutella, piatti, bicchieri, bevande, ricchi premi e cotillon…

Sorpresa sorpresa, anzi, surprise!, la prof di francese arriva con una torta di mele.
Dall’aspetto bruttarello: un agglomerato di roba marroncina e lucida.
Ma, noblesse oblige, ne assaggio un pezzetto.
Dopodiché vorrei buttarmi a capofitto nella torta.
“Prof!!! Ma l’ha fatta lei? Cos’è?” “COME COS’È???” evvai che rischio l’insufficienza in pagella “È una tartaten!” “Una?” “Una tarte Tatin!” “Buonissima!”.

Avevamo così instaurato una tradizione: ogni anno, l’ultimo giorno di scuola, avremmo fatto una festa con crepes fatte in classe.
“Proooof, ce la fa ancora la tartatèn?” “Ma ragazze! Insomma! È una scuola non una discoteca!” “Perfavooooore” “In francese!” “Silvupléééé!”. Credo le piacesse farsi adorare un po’ (e a chi non piace???).

Arriva l’ultimo giorno di quinta liceo, realizzo all’improvviso che una torta così non la troverò mai più da nessuna parte, DEVO farmi dare la ricetta… sperando che la mia prof non sia una di quelle che sono gelose della propria cucina e amano il mistero.

“Proooof?!”
“Oui?”
“Posso avere la ricetta della torta?”
“En français!”
“eh… est-ce que vous pouvez me donner la recette de la tarte aux pommes?”
“Tarte Tatin! Bien sur, écrit…”
“Come si scrive tartatén?”
“COME SAREBBE A DIRE COME SI SCRIVE??? TARTE TA-TIN”
Piglio carta e penna, ho un brutto presentimento
“Deux-cent-cinquante grammes de farine”
“In francese?!”
“SCRIVI”
“Oké”

E insomma, l’ultimo giorno di scuola la ricetta della tarte Tatin l’ho pagata con un dettato di francese. Di un quarto d’ora.

Passano gli anni, dieci per l’esattezza, traduco la ricetta appena arrivo a casa, la infilo nei libri di cucina di mia mamma. Resta lì.
Faccio l’università, trovo lavoro, esco di casa, mi sposo, ancora sta torta non l’ho provata eppure mi rimane lì in mente come se fosse ieri.

Qualche settimana fa decido di provare a farla, spulcio tutti i miei cassetti. La ricetta non c’è.
Mi rassegno a cercarla su internet, trovo un sacco di ricette (e anche un sacco di informazioni utili, leggete sempre i commenti alle ricette, si trova roba interessante!), chiedo a mia mamma se per caso la ricetta ce l’ha ancora lei. Dice che la cerca.
Il giorno dopo mi arriva un messaggio “L’ho trovata, te la porto quando ci vediamo”.
Oh gloria! Oh gaudio!

Ma non ho la teglia.
Ci vuole una teglia NON apribile, che vada sia sui fornelli sia in forno. In alternativa una padella dal bordo alto che possa andare anche in forno (cioè coi manici non di legno né di plastica).
Cerco disperatamente dappertutto, non voglio rassegnarmi a comprarla su internet perché significherebbe rimandare ulteriormente la prova della ricetta.
Bazzico mercatini in cerca di una teglia da tarte Tatin, torno a casa con jeans nuovi, tegami di coccio e teiere… ma di teglie nemmeno l’ombra.

Poi finalmente nel “negozio dei cinesi, quello nuovo, enorme” trovo la teglia. E un frangifiamma da usare col tegame di coccio… e quasi quasi anche con la teglia.

È ora di provare, finalmente (e finalmente anche per voi che avete letto fin qui) questa ricetta.
Con l’idea di seguirla pedissequamente e, in un secondo esperimento, tentare alcuni accorgimenti letti qua e là e alcune modifiche alla ricetta.

E sarò buona, a voi la passo già tradotta 😛

Pasta
250 gr farina 00
100 gr burro
100 gr zucchero
1 uovo intero
1 pizzico sale

Ripieno
2 kg mele
250 gr burro
180 gr zucchero
1 bustina vanillina

Preparare la pasta impastando velocemente e far riposare la palla in frigo per almeno mezz’ora.

Sbucciare le mele, tagliarle in 4 parti ed eliminare il torsolo.
In una teglia chiusa mettere 250 gr di burro e farlo spumeggiare (fuoco medio-alto), mettere 2/3 dello zucchero nel burro, poi disporre le mele a raggiera, coprire con lo zucchero restante e lasciar caramellare il fondo (20 o 30 minuti)

Accendere il forno a 220 o 200 gradi, stendere la pasta e adagiarla a lenzuolo sulla teglia di mele caramellate, lasciando che sprofondi, incidere la superficie con un coltello.
Infornare per circa mezz’ora.
Quando la pasta è ben dorata coprire con la stagnola, abbassare la temperatura a 180 gradi e lasciar cuocere altri 10 minuti.

tartetatin1

Togliere dal forno, prendere un canovaccio molto grande e completamente bagnato, appoggiare la teglia sul canovaccio, coprire i bordi della teglia con lo straccio bagnato (senza toccare la pasta) e lasciare così per 10 minuti.
Mettere la teglia sul fuoco molto alto per 1 minuto, capovolgerla su un piatto.

Sappiatelo: per farla vi parte un pomeriggio.
Ecco un paio di consigli da “esperienza di vita vissuta” che posso darvi in più.
Nonostante tutto non sono riuscita a seguire la ricetta ciecamente senza provare subito alcuni accorgimenti letti qua e là (soprattutto da questo blog francese: Cuisine Campagne, e dalla ricetta di Gordon Ramsay, più dai commenti di Giallozafferano).

Dunque, a quanto pare le mele golden sono le più indicate, soprattutto se sono già un po’ vecchiotte e quindi più farinose: da cotte vengono ben dolci ma non perdono troppo succo.

Ah! E meno male che non dovevano perdere troppo succo! Per paura di bruciare tutto (e avendo letto che il caramello si fa a fuoco basso), invece del fuoco medioalto ho tenuto il fuoco medio e basta. Per i primi 30 minuti. Poi ho fatto ulteriori 15 minuti a fuoco alto, perché le mele avevano fatto un sacco di succo e di caramello manco l’ombra, avendo letto una pletora di commenti di disastri col caramello bollente fuoriuscito ovunque (o di necessità di scolarlo da qualche parte nel mezzo della cottura eccetera) ho preferito lasciar stringere quel succo il più possibile.

Poi, altra cosa che probabilmente farò la prossima volta: lasciar raffreddare completamente le mele prima di stenderci sopra la pasta, così almeno non si scioglie quasi subito al contatto con le mele calde.

Nello specifico dal blog francese e dallo chef inglese ho voluto prendere lo spunto di far caramellare anche i bordi, nel tentativo di “contenere” mele e succo. Allora… Gordon Ramsay è incredibilmente bravo e veloce a fare quel mestiere di sollevare la frutta col retro del cucchiaio e infilare sotto la pasta… Io avevo paura di bruciarmi e mi si stava squaqquerando tutto in mano, quindi ho fatto come meglio ho potuto (un po’ come quando sei di fretta e ficchi il lenzuolo sotto al materasso senza troppi crismi).

Poi, il mio forno tende ad essere troppo caldo (torte che dovrei cuocere a 180 gradi mi vengono meglio se sto sui 175/170), sapendolo scaldo il forno a 200.
Inforno, punto il timer a mezz’ora… dopo sette minuti devo abbassare già a 180. Quando mancano quindici minuti copro al volo la teglia con un foglio di stagnola e abbasso a 175 gradi (decisamente troppo “dorata” la pasta!) e tolgo cinque minuti dal tempo di cottura.
Al diavolo anche gli ulteriori 10 minuti a 180 gradi. Va bene seguire pedissequamente la ricetta, ma non volevo bruciare la torta!!!

Per il resto eseguo quanto scritto: bagno lo straccio, ci appoggio la teglia (fa “fzzzzzz”), la lascio lì a fumare 10 minuti e, anche se mi sembrava superfluo, scaldo a fuoco alto per un minuto.

tartetatin2

Ed ecco il momento della verità: dovevo girare la torta.
Spaventata da commenti di ustioni con caramello bollente volato per tutta la cucina insieme a piatto e torta (e in mancanza di una teglia più larga in cui girare la torta con la sicurezza del bordo per contenere il caramello di troppo) centro il piatto più grande che ho sulla teglia (che è di 28 cm di diametro) e riavvolgo il tutto nello straccio bagnato di prima.
Non solo dovrebbe contenere eventuale caramello impazzito, ma dovrebbe anche tenere insieme teglia e piatto senza farmelo scivolare troppo.
Ah, avevo su i guantoni da forno.
Prendo coraggio, rifiuto l’offerta di Sa di farla girare a lui, e giro.
Movimento rapido e fluido e terrorizzato.
“Ora dagli una bella botta sul fondo”
“Dici?”
“Vai!”
“Così?” *SBRAM*
“Perfetto”
“Momento della verità”

Tolgo il telo, tolgo la teglia: successo! Mi sono rimaste solo due mele e un pezzettino di crosta attaccati nella teglia (e meno male che era antiaderente!!! Il minuto sul fuoco per sciogliere il caramello dev’essere davvero fondamentale!!!) e non ci sono litri e litri di caramello, solo qualche goccina che rende il tutto solo più goloso!

Mi sento dio.

Inizio a scrivere mentalmente il post.

È buona da morire. Cambierei poche cose, giusto per vedere come viene la prossima volta (fra cui: imparare a disporre meglio le mele così una volta girata è più carina… magari tagliandole in 8 invece che in 4… ma c’è il rischio che si smarmellino troppo…)

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2 pensieri su “Tarte Tatin, la storia di una ricetta

    1. Euforilla Autore dell'articolo

      A parte che se sono così tanti e stanno conquistando il mondo, forse le loro pignatte radioattive regalano superpoteri e quindi non mi dispiacerebbe affatto.
      Per il resto la marca è italianissima 😉

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