Come ho sconfitto la timidezza

O anche “Il lungo post lungamente atteso”.

Credo di poter dire che è stato il fare a salvarmi (sono una donna del fare! Ok, finito lo sketch, andiamo avanti :P).

L’anno scorso (nel 2011 a dire il vero), fra amiche, ci siamo fatte dei regali simbolici, pescando a sorte. Ognuna avrebbe portato un oggetto che rappresentasse una qualità di se stessa da dare alle altre. Io ho portato un bottoncino di plastica, a forma di fragolina, che risale a quando facevo l’asilo nido. Per me rappresentava una cosa che anche se piccola e modesta fa parte del mio bagaglio di “attrezzature” creative, perché mi ero resa conto che nel fare dolci, bijoux o altro non mi abbatto mai.

Nel senso: mi impegno, provo e riprovo finché qualcosa non viene come dico io, mi arrabbio, trovo soluzioni non canoniche e alla fine sono sempre soddisfata del mio lavoro, non c’è niente che possano dirmi che possa buttarmi giù.

E rendermi conto di poter “regalare” una tale sicurezza è stato illuminante.

Durante l’anno ho capito che a questo si uniscono, o ne fanno già parte, due fattori molto importanti: la concentrazione che ho mentre creo, l’attenzione al momento e all’atto in sé, l’essere “qui e ora”, senza pensare all’esito o a cosa ne diranno, senza ansie o aspettative, semplicemente stando attenta a ciò che sto facendo. Una sorta di trance, per non tagliarmi e per tradurre nel concreto ciò che ho chiaro in mente.

L’altro fattore fondamentale è stato l’aver imparato, accettato e compreso che, così come nelle creazioni artistiche, nella vita non si può fare sempre tutto subito e perfetto, ma che si va a tentativi, prima si abbozzano le forme di base, si preparano gli ingredienti, poi si aggiungono i dettagli e si rifinisce. Gli errori possono essere corretti e le imperfezioni rendono il tutto più interessante. Chi giudica è perché non sa cosa vuol dire farlo in prima persona, invece chi fa può aiutare con critiche costruttive. E infine ciò che conta è essere aperti ai consigli ma seguire sempre il proprio gusto personale.

Ho davvero potuto vedere che, quando lascio vivere le mie passioni così, le cose scorrono da sole.

Certo è stato anche molto importante avere attorno e vicino Sa (ci arriviamo dopo 😉 ) e un gruppo di amiche con cui condividere progetti e idee, e da cui venire sfanculata/rassicurata a seconda del bisogno, ma soprattutto dove imparare che le mie paranoie sono comuni.

Che paranoie? A vent’anni tondi ho pensato di essere troppo vecchia per poter combinare qualsiasi cosa nella mia vita, che ormai era troppo tardi per iniziare qualsiasi cosa.

Che avevo troppi interessi ma nessuna vera passione trascinante, e quindi avendone troppe non avrei mai brillato in nessuna.

Pensavo di averne molte di più, ma alla fine stringi stringi erano solo queste. A scriverle ora mi rendo conto dell’idiozia sottostante, ma per arrivare qui ci ho messo un po’, ho sempre capito razionalmente che non erano cose logiche, ma non l’ho mai ben capito a livello emotivo e soprattutto non a livello pratico.

Cercavo di superare la mia timidezza solo con parole e ragionamenti logici, emotivamente non mi mettevo alla prova… e quindi figuriamoci all’atto pratico!

L’ho letto mille volte che darsi da fare è la soluzione, ma finché uno si da da fare col chiodo fisso del “vediamo se così divento più sicura di me” ovviamente la cosa non ha effetto. Anche perché, come si suol dire, facendo così non riuscivo a vedere la foresta a causa degli alberi. Ero troppo concentrata sulla mia timidezza (anche se per risolverla, ma la fissa quella era) per poter badare -e attirare- altro.

Così ho deciso di metterla da parte per un po’ -come un’espressione che non vi viene, lasciate lì e guardate le altre, a quella ci ritornerete finito il compito se avete tempo- e fare altro (trasloco, esaurimento nervoso, gruppo di amiche, spiritualità, viaggi, blog, fai da te) e senza nemmeno accorgermene concentrarmi sul fare ha fatto sparire il resto.

Poi se ci penso è abbastanza strano, perché ho sempre avuto un carattere forte e una personalità “di spicco” (mi si passi il termine). Ho sempre avuto almeno qualche amica molto insicura che guardava a me come “ispirazione”. Mi sono sempre sentita un maschiaccio con i miei amici maschi. Mi sono divertita ad essere una mosca bianca, fuori dal coro, un bastian contrario. Ho sempre tratto orgoglio dal mio pensiero indipendente e dai miei gusti (donna-artemide al 100% insomma, per dirla con la dott. Shinoda Bolen). Quando in famiglia c’è stato bisogno più di una volta sono stata “la roccia” (cito testuali parole).

Poi non so dire cosa sia successo, un infarto, amicizie e relazioni andate storte, forse tutto l’insieme di quegli anni di cambiamento e mi sono inaridita un po’, mi sono un po’ persa e ho avuto bisogno di poter tenere tutto sotto controllo e di piacere a tutti. Forse ero stanca, forse mi sentivo debole o credevo di dover espiare qualcosa. Però adesso mi sento di aver recuperato dalla “vecchia me” ciò di cui avevo bisogno.

Ok, a volte ho ancora l’ingenuità di pensare che tutti siano in buona fede come me… ma perché devo essere io l’ingenua e non loro gli stronzi?

Insomma, a un certo punto nella mia vita la mia timidezza è diventata quasi patologica. Non voglio stare a dire perché per come, puntare dita verso chissà che o altro. Tanto ai fini della mia risoluzione non è servito passare anni (anni, giuro) ad arrovellarmi su quale fosse la causa.

Certo, tanti dicono che una volta scoperta la causa sei a posto… ma se una causa non c’è? Come nel mio caso… non sono stata oppressa dalla famiglia (nonostante discrete aspettative pendessero e pendano tutt’ora sulla mia capoccia rossocrinita), non c’è stato un evento traumatico (certo qualche figura di merda non me la sono risparmiata ma niente di trascendentale), semplicemente è cresciuta pian piano e a un certo punto era ingombrante e difficile da debellare. Come un’erbaccia infestante. Chissenefrega da dove si è originata o come o perché, levala e basta!

Di base c’era una discreta insicurezza di me… data da eccessivo perfezionismo: ho un’opinione molto alta di me stessa, delle mie capacità, di cosa posso fare e ottenere, di come posso farlo e aspettative grandi come case. Sono la mia più dura e fredda giudice. Il che si traduceva semplicemente nello stare seduta a giudicarmi per le cose che non facevo, visto che se le avessi fatte mi sarei giudicata anche peggio perché non sarebbero state fatte perfettamente in due nanosecondi. Sì, un assurdo circolo vizioso.

Aggiungete al cocktail due parti di relazioni sbagliate con le persone (dall’amica che ti delude e ti chiedi se non sia stata tutta colpa tua, al ragazzo che ti prosciuga e ti chiedi se non sia stata tutta colpa di sua madre, alle varie recidive), una parte di studi di filosofia e psicologia (che aiutano ma confondono anche, con metodi di ragionamento vari e sintomi che ritrovi in te stesso), uno schizzo di senso di iper responsabilità (tutto ciò che mi accade è causato da me e devo assumermene le conseguenze, rimanendo inflessibilmente onesta con me stessa), cubetti di ghiaccio, shakerate bene e decorate con una fetta di strascichi di adolescenza e semplice processo di crescita che tutti attraversiamo (si trova al supermercato, reparto frutta e verdura).

Non è traumatico, è normale, penso sia successo a un sacco di persone. Però mi sentivo l’unica sfigata.

La rinascita, perché per me di rinascita si tratta, è iniziata con l’erasmus. Non ringrazierò Montpellier mai abbastanza. Lì ho avuto l’occasione di essere una me tutta nuova, la me che volevo essere. E poi ho trovato un paio di siti (Gala Darling e Charade, che prima di diventare pressoché solo rosa fashion blogger si occupavano di auto aiuto principalmente) che mi hanno instillato il dubbio che potessi fare qualcosa di concreto ed efficace (oltre all’inutile arrovellarmi sul come mai fossi così misera e tapina, senza cavarne un ragno dal buco, anzi, aggravando la situazione visto che non riuscivo a risolvere nulla!).

Quindi, riassumendo, ciò che di base mi ha aiutato è stato:

– l’auto aiuto, sottoforma di blog e libri (soprattutto: Le vostre zone erronee, Il libro del training autogeno, La via dell’artista, Donne che corrono coi lupi e Le dee dentro la donna, su questo scriverò più avanti, una sorta di Guida di Euforilla per sbarazzarsi della timidezza… un titolo più breve sarebbe carino ma vedrò che si può fare)

– la condivisione, sia tramite blog sia soprattutto tramite un cerchio di amiche con le quali mettere nero su bianco quali fossero le mie insicurezze e avere il sostegno necessario (a volte il terapeutico “Vaffanculo” di cui sopra alle mie inutili paranoie, altre tifo da stadio quando mi accingevo a fare qualcosa)

– il fare

Eccoci al nocciolo.

Soprattutto in questo ultimo anno mi sono data da fare, per il blog, con le mie creazioni, con il nio negozio di Etsy. E a contatto con Sa.

Ho visto nascere da zero un album, le prime prove, le prime versioni grezzissime delle canzoni registrate alla bell’e meglio, linee vocali buttate giù a “mm mmmhh mhmh” nel registratore del telefono, e poi tante altre prove, le registrazioni in studio, tutto l’interminabile lavoro di mixing e mastering (ho imparato a memoria tutti i pezzi pur senza averli ascoltati per intero e in fila fino al Release Party… le cantavo TUTTE! u_u).

E poi i miei post, le bozze, i tagli, le riedizioni, i controlli, le traduzioni, la ricerca del materiale e delle immagini.

Le sculture di fimo, un primo abbozzo della forma e poi scavare, modellare, aggiungere e togliere, aspettare, cuocere, colorare e dipingere e lucidare. I vestiti cuciti, partire da un’idea, arrangiarla, tagliare, cucire, riadattare, o i gioielli, preparare tutti i connettori, aspettare gli strumenti. Cucinare dolci, rispettare le dosi, misurare bene, chiudere il forno e sperare che nulla vada storto visto che finora hai fatto tutto quanto in tuo potere per far andare tutto bene.

Ho imparato ad aspettare, che ogni cosa ha il suo tempo, ho imparato che ci sono più e più fasi, più e più strati, per la riuscita di qualcosa. Che se qualcosa è brutto all’inizio o ancora in fase di lavorazione non importa, non si può giudicare una bozza, bisogna aspettare l’opera finita. La concentrazione e l’astrazione che ti prende quando stai facendo qualcosa, roba da non sapere più dove sei e che ore sono. Ho imparato che a un certo punto devi dire basta, ho finito… perché se no si potrebbe andare avanti una vita ad aggiungere e togliere, a migliorare e rifare… Anche perché più si fa più si impara e quindi ci sono cose vecchie che avrebbero potuto essere fatte meglio… vero… ma se non le avessi fatte non sarebbero servite come mezzo per arrivare alla “bravura” che ho adesso.

Bisogna passare attraverso un sacco di cose “brutte” per farne di belle.

So che una volta ho scritto contro quelli che consigliano di concentrarsi su ciò che si sta facendo per non farsi prendere dall’ansia. Ho scritto “Ma è proprio quello che sto facendo che mi fa venire ansia!”

Sì e no, mi sono ricreduta… Può mettere ansia leggere in pubblico, è vero, ma l’ho fatto e ne sono uscita indenne, anzi! Mi è pure piaciuto!

Non ho una ricetta magica ma ho realizzato che anni fa mi sarei concentrata su “Sto leggendo in pubblico” e quindi sarei stata concentrata su come il “pubblico” avrebbe reagito, su come sarei apparsa da fuori. Invece mi sono concentrata sul leggere, sull’azione, sul fare. Mi sono concentrata a non parlare troppo svelto, a fare le pause giuste, a pronunciare bene le serie di V di “vi avevano detto”, a far rotolare bene la lingua senza impappinarla. Inoltre sapevo di essermi esercitata a casa, avevo quel pochino di sicurezza dato dalla pratica, che non guasta mai 😉 (Avete presente con che spirito vi alzavate verso la cattedra quando sapevate la lezione e quando non la sapevate? Ecco!)

Mi sono concentrata su quello che stavo facendo, non su quello che pensavo avrei dovuto fare. La distinzione può sfuggire ma è assai fondamentale!

Insomma, questa è la mia “ricetta”.

Non so se sono “guarita” del tutto, ma mi sento molto molto molto meglio rispetto a tanti anni fa. Sono indicibilmente felice e orgogliosa di avercela fatta da sola (sì, ok con tanto sostegno ed esempio dagli altri, ma di certo non avrebbero potuto farmi fare ciò che ho fatto se non l’avessi voluto io in prima persona), non escludo che possano esserci ricadute in futuro. Ma sapere che c’è stato questo momento, dove mi sembra di aver vissuto tre vite rispetto a un anno fa, tante sono le cose che sono cambiate, crea un ottimo precedente… è una pratica da non dimenticare!

Articoli correlati

13 pensieri su “Come ho sconfitto la timidezza

  1. Ape Regina

    Io devo dire che la mia timidezza e’ molto sbilanciata, difatti ci sono ambiti in cui sono assolutamente svergognata e altri in cui scapperei via alla prima difficolta’, anzi, prima della prima difficolta’ piangendo come una lattante.
    Su alcune cose il semplice processo di crescita mi ha aiutato a maturare, su altre cose forse non migliorero’ mai, ma d’altronde la perfezione non e’ di questo mondo

  2. Lanterna

    Secondo me una cosa molto importante è imparare a relativizzare. Nelle cose piccole come in quelle grandi.
    Per esempio: hai 26 anni, sei al Buddha Bar di Parigi con un’amica e vedi due fighi paura. Che fai? Ci provi, il peggio che possa capitarti è che dicano “no grazie”. E invece passi una serata piacevolissima parlando con un figaccione di San Francisco innamorato della Liguria.
    Oppure: stai di merda sul lavoro, i tuoi figli continuano ad ammalarti, il nido ti prosciuga le finanze. Trovi un corso di sceneggiatura con un autore che stimi, 15 ore in 5 sere, 150 euro. Che fai? Il peggio che possa capitarti ti sta già capitando, quindi lo frequenti e scopri il tuo potenziale.
    Nemmeno io mi sono risolta. Ma questo trucchetto mi aiuta spesso.

    PS: c’è una mia conoscente che, quando le viene il panico, si dice “ho partorito due gemelli con parto naturale, che cosa vuoi che sia questa paura del momento?” 😉

    1. Euforilla Autore dell'articolo

      Posso prendere a esempio anch’io i suoi di gemelli? No perché non me la sento di avere una tale esperienza come paragone XD

      Sì, ridimensionare è chiave, è un altro modo -almeno credo- di vivere la cosa nel momento “ok adesso mi godo una serata di chiacchiere col figaccione di san francisco” senza pensare ad altro :)

    1. Euforilla Autore dell'articolo

      Qui però bisogna essere in grado di essere estremamente sinceri con se stessi: non ti senti di fare una cosa perché davvero non ti va o non ti senti perché sono già scattati meccanismi di difesa e autoconservazione (che di solito si manifestano con scuse e giustificazioni ridicole).

      Poi è ovvio che se la risposta è “no, davvero, non mi va” allora fai più che bene a non farlo :)

Lascia un Commento

Post Correlati